L’unità 731: l’orrore nel campo di concentramento in Cina

Tutti noi conosciamo il terrore che può provocare una guerra.

La guerra conduce alla morte, genera violenza nei confronti dei civili. Basta ricordare le bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki.

Gli ordigni nucleari hanno fatto si che terminasse la guerra, ma ad un prezzo assai caro. 200 mila persone hanno perso la vita; uomini, donne e bambini che non avevano nulla a che fare con questo scontro.

Questi eventi catastrofici li conosciamo attraverso i libri di scuola e la televisione.

Le atrocità commesse durante la guerra furono molte, alcune conosciute, altre un po’ meno.

Forse non tutti conosceranno la spirale di pazzia della pseudo scientifica collegata all’unità 731; un’unità di ricerca giapponese che ha ben poco da invidiare ai campi di concentramento nazisti, in quanto ad atrocità e brutalità.

Nel 1930 il Giappone intraprese degli studi atti allo sviluppo di armi chimiche.

Ishi Shirou, un medico giapponese, fu uno dei sostenitori di queste nuove armi, ed era il più esaltato.

Era certo che con questi armamenti, l’armata giapponese avesse la carta vincente.

Con l’occupazione della Manciuria, Ishi, ebbe la possibilità di realizzare un’unità incline allo studio e alla sperimentazione di cavie umane di armi batteriologiche.

La Manciuria era un posto ideale per gli esperimenti, piena di cavie umane cinesi. Non scordiamoci che i giapponesi ritenessero i cinesi una razza inferiore; talvolta testavano sui russi.

Il campo venne edificato ad Harbin. Già dal avviamento dell’unità vennero condotti esperimenti.

Alla frontiera tra l’Unione Sovietica e Cina vennero diffuse, nelle vicinanze degli accampamenti nemici, batteri della febbre tifoide.

Nel 1940 dissolsero nei pozzi 70 kg di batteri del tifo, causando ingenti danni.

La città di Nigbo fu bersagliata con batteri di peste bubbonica, provocando una letale pandemia che causò la morte del 99% dei contagiati. Vennero impiegati anche gli uccelli, ricoperti di antrace e liberati.

Tutto questo all’unità 731 non bastò. Quello che avveniva all’interno del laboratorio di Harbin, nel corso della guerra, è degno del peggiore film horror.

I prigionieri furono vivisezionati senza anestesia. Questa pratica fu eseguita su pazienti affetti da varie patologie.

I medici eseguivano delle vere e proprie operazioni chirurgiche sui detenuti, asportando arti e organi, per esaminare i risultati delle malattie che avevano.

Le amputazioni venivano eseguite mentre i prigionieri erano ancora in vita, dato che in quel periodo ritenessero che la decomposizione potesse modificare gli esiti.

Uomini, donne e bambini erano coloro che venivano sottoposti a questi test; non furono risparmiate anche le donne gravide, spesso rese incinte dai medici stessi.

Gli arti di alcuni detenuti venivano congelati e scaldati in acqua bollente, procedura ripetuta fino a quando la pelle non si staccava dai muscoli come la carta.

Diversi detenuti venivano impiegati come bersagli per testare gli effetti di granate, esplosivi e lanciafiamme da diverse angolazioni e distanze.

Altri prigionieri venivano appesi a testa in giù, per verificare in quanto tempo morivano per asfissia.

A svariati pazienti vennero iniettati nei reni “urina di cavallo” per esaminarne le conseguenze. Ad altri li nutrivano a pane e acqua, per osservare in quanto tempo morivano.

Svariati prigionieri vennero condotti dentro a delle camere, dove la pressione veniva abbassata, fino a quando non sopraggiungeva la morte.

Nelle camere a gas vennero provate vari tipi di armi chimiche.

Questi sono solo alcuni esempi di quello che questa unità testò sugli esseri umani, e si macchiò come campo di sterminio di massa.

In questa unità persero la vita più di 400 mila civili cinesi, tutti a casa delle epidemie che gli scienziati creavano.

Nonostante ciò, la guerra non si svolse a favore del Giappone e l’unità sospese ogni attività. Negli ultimi giorni della guerra, gli ufficiali ammazzarono gli ultimi prigionieri rimasti nel campo, per sterminare qualsiasi testimone.

In quei giorni vennero liberati molti animali, portatori di un virus modificato che potesse contagiare l’uomo. Fino al 1948 le numerose epidemie provocarono altre morti.

L’unità 731 non ebbe le stesse conseguenze che subirono gli alleati fascisti, infatti le armi batteriologiche giapponesi fecero gola agli americani.

Ci fu una proposta.

Douglas MacArthur offrì l’immunità ad Ishi ed ai suoi collaboratori, in cambio dei risultati delle ricerche condotte ad Harbin.

Non ci fu mai un processo, contro questa unità, presso il tribunale internazionale per i crimini contro l’umanità.

Nel 1959 Ishi Shirou morì, senza mai essere stato accusato per i suoi crimini.

Molti ufficiali dell’unità 731, dopo la guerra, trovarono impiego all’interno di aziende farmaceutiche.

La storia di questa unità è poco conosciuta qua in occidente ed è uno dei capitoli più macabri della seconda guerra mondiale.

Tutti noi conosciamo il terrore che può provocare una guerra.

La guerra conduce alla morte, genera violenza nei confronti dei civili. Basta ricordare le bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki.

Gli ordigni nucleari hanno fatto si che terminasse la guerra, ma ad un prezzo assai caro. 200 mila persone hanno perso la vita; uomini, donne e bambini che non avevano nulla a che fare con questo scontro.

Questi eventi catastrofici li conosciamo attraverso i libri di scuola e la televisione.

Le atrocità commesse durante la guerra furono molte, alcune conosciute, altre un po’ meno.

Forse non tutti conosceranno la spirale di pazzia della pseudo scientifica collegata all’unità 731; un’unità di ricerca giapponese che ha ben poco da invidiare ai campi di concentramento nazisti, in quanto ad atrocità e brutalità.

Nel 1930 il Giappone intraprese degli studi atti allo sviluppo di armi chimiche.

Ishi Shirou, un medico giapponese, fu uno dei sostenitori di queste nuove armi, ed era il più esaltato.

Era certo che con questi armamenti, l’armata giapponese avesse la carta vincente.

Con l’occupazione della Manciuria, Ishi, ebbe la possibilità di realizzare un’unità incline allo studio e alla sperimentazione di cavie umane di armi batteriologiche.

La Manciuria era un posto ideale per gli esperimenti, piena di cavie umane cinesi. Non scordiamoci che i giapponesi ritenessero i cinesi una razza inferiore; talvolta testavano sui russi.

Il campo venne edificato ad Harbin. Già dal avviamento dell’unità vennero condotti esperimenti.

Alla frontiera tra l’Unione Sovietica e Cina vennero diffuse, nelle vicinanze degli accampamenti nemici, batteri della febbre tifoide.

Nel 1940 dissolsero nei pozzi 70 kg di batteri del tifo, causando ingenti danni.

La città di Nigbo fu bersagliata con batteri di peste bubbonica, provocando una letale pandemia che causò la morte del 99% dei contagiati. Vennero impiegati anche gli uccelli, ricoperti di antrace e liberati.

Tutto questo all’unità 731 non bastò. Quello che avveniva all’interno del laboratorio di Harbin, nel corso della guerra, è degno del peggiore film horror.

I prigionieri furono vivisezionati senza anestesia. Questa pratica fu eseguita su pazienti affetti da varie patologie.

I medici eseguivano delle vere e proprie operazioni chirurgiche sui detenuti, asportando arti e organi, per esaminare i risultati delle malattie che avevano.

Le amputazioni venivano eseguite mentre i prigionieri erano ancora in vita, dato che in quel periodo ritenessero che la decomposizione potesse modificare gli esiti.

Uomini, donne e bambini erano coloro che venivano sottoposti a questi test; non furono risparmiate anche le donne gravide, spesso rese incinte dai medici stessi.

Gli arti di alcuni detenuti venivano congelati e scaldati in acqua bollente, procedura ripetuta fino a quando la pelle non si staccava dai muscoli come la carta.

Diversi detenuti venivano impiegati come bersagli per testare gli effetti di granate, esplosivi e lanciafiamme da diverse angolazioni e distanze.

Altri prigionieri venivano appesi a testa in giù, per verificare in quanto tempo morivano per asfissia.

A svariati pazienti vennero iniettati nei reni “urina di cavallo” per esaminarne le conseguenze. Ad altri li nutrivano a pane e acqua, per osservare in quanto tempo morivano.

Svariati prigionieri vennero condotti dentro a delle camere, dove la pressione veniva abbassata, fino a quando non sopraggiungeva la morte.

Nelle camere a gas vennero provate vari tipi di armi chimiche.

Questi sono solo alcuni esempi di quello che questa unità testò sugli esseri umani, e si macchiò come campo di sterminio di massa.

In questa unità persero la vita più di 400 mila civili cinesi, tutti a casa delle epidemie che gli scienziati creavano.

Nonostante ciò, la guerra non si svolse a favore del Giappone e l’unità sospese ogni attività. Negli ultimi giorni della guerra, gli ufficiali ammazzarono gli ultimi prigionieri rimasti nel campo, per sterminare qualsiasi testimone.

In quei giorni vennero liberati molti animali, portatori di un virus modificato che potesse contagiare l’uomo. Fino al 1948 le numerose epidemie provocarono altre morti.

L’unità 731 non ebbe le stesse conseguenze che subirono gli alleati fascisti, infatti le armi batteriologiche giapponesi fecero gola agli americani.

Ci fu una proposta.

Douglas MacArthur offrì l’immunità ad Ishi ed ai suoi collaboratori, in cambio dei risultati delle ricerche condotte ad Harbin.

Non ci fu mai un processo, contro questa unità, presso il tribunale internazionale per i crimini contro l’umanità.

Nel 1959 Ishi Shirou morì, senza mai essere stato accusato per i suoi crimini.

Molti ufficiali dell’unità 731, dopo la guerra, trovarono impiego all’interno di aziende farmaceutiche.

La storia di questa unità è poco conosciuta qua in occidente ed è uno dei capitoli più macabri della seconda guerra mondiale.