Witold Pilecki: la Drammatica storia della Spia internata volontariamente ad Auschwitz

Witold Pilecki

Witold Pilecki ricordò con queste parole il suo ingresso ad Auschwitz:

Ho detto addio a tutto ciò che avevo finora conosciuto in questa terra e sono entrato in qualcosa che non ne faceva più parte

Però, il capitano polacco scelse volontariamente di entrare nel campo di concentramento, per constatare con i propri occhi quel che succedeva all’interno.

Già durante le prime fasi della seconda guerra mondiale molte voci giravano, spesso inquietanti, su ciò che accadeva all’interno del campo; ma la resistenza nazionalista polacca, di cui Pilecki faceva parte, non aveva modo di sapere la realtà dei fatti.

IN QUALCHE MODO SI DOVEVA SAPERE.

Pilecki in una rappresenzazione prima del 1939

Witold si offrì per insinuarsi all’interno del campo, ben consapevole dei rischi.

Il 19 settembre 1940 Pilecki si fece arrestare intenzionalmente, a Varsavia, durante un controllo da parte dei nazisti. Quel giorno furono arrestate 2000 persone.

Anche se era ben consapevole di quello che stava per fare, non era preparato a quello che stava per vedere.

Con altri 100 mi hanno portato in bagno. Qui ci hanno dato dei sacchi, contrassegnati con il rispettivo numero. Hanno tagliato i nostri capelli, i peli del nostro corpo e ci hanno spruzzato acqua fredda. Ho ricevuto un colpo alla mascella con una sbarra pesante, ho sputato due denti, ho cominciato a sanguinare. In quel momento siamo diventati solo dei numeri, ho indossato il numero 4859

Nei seguenti tre anni Pilecki fu la figura di spicco di una delle operazioni di Intelligence più pericolose della guerra, spettatore del cambiamento di Auschwitz da campo di detenzione e per soldati sovietici, nel più diabolico campo di morte dei nazisti.

I prigionieri polacchi venivano sovente sterminati in pubblico, in modo inaspettato e spesso disumano.

Nel primo anno di permanenza di Palecki, formavano il gruppo più numeroso, quello con il maggior numero di vittime; al termine della guerra il triste record di vittime passò agli ebrei ungheresi, seguito da ebrei polacchi e dai polacchi non ebrei.

Pilecki, facendosi arrestare sotto falso nome, fu fortunato ad avere un incarico al di fuori del campo, mentre all’interno enrtarono in funzione le camere a gas, usate senza sosta.

“Più di 1000 ebrei al giorno furono gasati e i I cadaveri venivano cremati”.

Pilecki organizzò una rete di sostegno all’interno del campo, i cui membri si aiutavano con razioni di cibo, i vari compiti di lavoro, ma la più importante di tutte era di portare all’esterno i messaggi per far conoscere la vita del campo.

Lo scopo era quello di pianificare una rivolta, che doveva coincidere con un tentativo di liberazione da parte della resistenza polacca.

Auschwitz nel 1944

Purtroppo chi stava fuori dal campo faceva fatica a credere agli orrori che vi avvenivano all’interno.

Dopo tre annia raccogliere informazioni e a riferirli ad un’organizzazione poco ricettuva, Pilecki decise di informare i superiori. Così ne 1943 riuscì a fuggire con il favore della notte.

Pilecki riuscì a sopravvivere 947 giorni ad Auschwitz, dove le previsioni di vita erano di circa 42 giorni. Nel frattempo tornò a Varsavia e venne a sapere che il suo ufficiale, che l’aveva incaricato della pericolosa missione, era stato arrestato e i nuovi comandanti non avevano l’interesse ad affrontare una liberazione del campo, dove nel frattempo morivano decine di migliaia di persone.

Pilecki continuò a lottare per il proprio paese: nel 1944, nel corso di un tumulto a Varsavia, fu nuovamente arrestato dai tedeschi, e trasferito in un campo di concentramento. Uscì vivo anche da lì, salvato dall’esercito americano nel 1945.

Finita la guerra Pilecki si unì al “corpo Polacco, militari che non gradivano la presenza la dominazione sovietica nel loro paese. Nel frattempo in Italia, in attesa di un nuovo incarico di inteligence in Polonia, redisse il resoconto definitivo sulla sua missione ad Auschwits: “il volontario di Auschwitz”, che rimase inedito per molti decenni in Polonia.

Ritornato a Varsavia, con il compito di cercare prove sugli inganni del referendum del 1946, andò incontro al suo destino: fu arrestato dalla polizia segreta comunista, torturato, processato e condannato a morte grazie a prove false.

Morì il 25 maggio 1948 in una cella a Varsavia, ucciso con un colpo di pistola alla testa. Alla moglie e ai figli fu imposto di non celebrare alcun rito funebre.

Il suo valore non ebbe alcun peso, i tentativi di riportare alla memoria i suoi successi furono vani. Solo nel 1990, quando il muro di Berlino era caduto, ottenne giustizia e venne scagionato da tutte le accuse che avevano portato alla sua morte; ancora oggi non si può posare un fiore sulla sua tomba: nessuno sa dove (e se) fu sepolto